Urlo Violata è di Carla Giacchella, Gioconda Violata e Venere Violata sono di Eugenio Saguatti

Che storia è questa?

Il 23 marzo 2013, appena fuori da una galleria e dal centro di Ancona, viene inaugurata “Volata”, il monumento in onore delle donne vittime di violenza, voluto da diverse istituzioni tra cui il Comitato per le Pari Opportunità tra Uomo e Donna della Regione Marche e realizzato da Floriano Ippoliti sul modello di una sua precedente opera titolata Donna con borsa. La statua, un po’ per il colore, un po’ per l’opinabile messaggio, viene prontamente avvistata da Emanuela Ghinaglia, rappresentante del comitato Se non ora quando di Cremona, che lancia un appello su facebook al fine di rimuoverla. Cristina Babino e Alessandra Carnaroli sono le promotrici della petizione, che nel giro di pochi giorni supera le 1700 firme, loro iniziativa anche i numerosi appelli e comunicati stampa rivolti alla Commissione Pari Opportunità nella continua ricerca di un confronto e un dialogo sulla questione.

Violata ha già iniziato un nuovo viaggio e ha già conquistato nuovi significati, grazie a tutti coloro che hanno partecipato ironicamente, artisticamente, ideologicamente, concettualmente, teoricamente e praticamente alla protesta. Questo blog prova a raccogliere i contributi, gli articoli e la documentazione relativa alla vicenda, senza escludere anche i pareri favorevoli alla statua.

Qualsiasi sia il destino di Violata speriamo non sia quello di rappresentare le donne vittime di violenza, nella speranza che questo episodio sia l’espediente per affrontare meglio la quotidiana tragedia di cui le donne non dovrebbero più essere protagoniste, perché il rispetto è un diritto SEMPRE, come recita la targa su cui poggia Violata…

Elena Pascolini


domenica 28 aprile 2013

Violata: questa sì che sarebbe una liberazione!


Questo post è uno di quelli che ti escono proprio dalle dita, che basta mettersi davanti al computer, ripensare a quello che hai visto e i polpastrelli fan tutto da soli.

Il commento di oggi riguarda un'opera d'arte recentemente salita agli onori della cronaca, mi riferisco alla statua (la vedete nell'immagine qui a fianco) che la commissione per le pari opportunità del comune di Ancona ha collocato in città e che, a sentir loro, dovrebbe essere un monumento universale contro la violenza nei confronti delle donne. 
Quando ho visto la statua per la prima volta la mia prima reazione è stata piuttosto neutra, mi pareva un brutto coso ma l'ho semplicemente catalogato come una delle tante opere d'arte che vedi in giro e che ti auguri di non dover più vedere, nient'altro (oddio, nella tua ignoranza artistica il pensiero quell'obrobrio l'han pagato con le mie tasse, da domani si fa tutto in nero, ti viene, poi però subentra la rassegnazione, sospiri e tiri dritto). 

Qualche secondo dopo aver visto la foto della statua ho letto il titolo dell'opera e la  forza della mia reazione mi ha colto totalmente alla sprovvista.
Violata si chiama, quella statua. 
L'ho letto ed è stato come se qualcuno mi stampasse in faccia uno di quegli schiaffi dati a mano aperta, quelli che dopo la faccia ti brucia.

In molti hanno già spiegato con estrema chiarezza i motivi per cui questa statua manda un messaggio distorto, fuorviante, addirittura contrario a quello che sarebbe il dichiarato intento dell'artista e dei committenti; rimane comunque un interrogativo: cosa pensavano quelli che l'hanno scelta?

Non considero l'artista che l'ha creata perché sappiamo già che la scultura era nata con un altro titolo: donna con borsa, ma vorrei capire quelli che hanno guardato la statua e hanno detto sì. 
Voglio partire dal presupposto che la decisione di scegliere questa statua sia stata presa in buona fede, che queste persone credessero davvero di fare qualcosa di buono. Ma allora, come si spiega? Tento una lettura, ovviamente mia, della situazione, pur sapendo che essendo personale sarà inevitabilmente parziale e limitata.

Quello della violenza non è un argomento facile da affrontare, per nessuno. Fa paura. E allora, magari inconsciamente, si sceglie la via più facile, quella che non ci costringe a metterci in discussione, ad affrontare verità scomode. In questo caso la via più facile è ricorrere all'immagine di una donna vittima di una violenza sessuale avvenuta per strada (ad opera ovviamente di uno sconosciuto), così possiamo andare a dormire tranquilli e fingere che le cose stiano così, nonostante i dati ci dicano chiaramente che la stragrande maggioranza delle violenze (fisiche, psicologiche,sessuali ecc) contro le donne avviene tra le mura di casa e gli uomini che usano violenza sono spesso mariti, padri, fratelli. Ma come fai a guardarti intorno e pensare che forse qualcuno tra i tuoi parenti, amici, colleghi, questa sera andrà a casa e picchierà sua moglie, la sua compagna o magari sua figlia? 
Meglio far finta di niente.

E così la statua diventa la statua di una donna fisicamente perfetta, senza alcun segno di sofferenza fisica, neanche un livido, come se in fondo non fosse niente di così grave, ma solo un incidente di percorso, qualcosa che ti lasci dietro le spalle e non ci pensi più. E ancora, quella donna ha uno sguardo fiero, indomabile, il portamento eretto, è una che si rialza e va avanti; in questo modo siamo tutti a posto, perché in fondo quella donna lì non ha mica bisogno del tuo aiuto, e allora puoi continuare tranquillamente a guardare dall'altra parte, a farti i fatti tuoi, fingendo che non sia successo nulla, metti una bella statuina e sei a posto. E poi il tocco finale, quel colore assurdo, irreale, che ce la fa sentire distante, quasi un'aliena. Quella lì non ha niente a che fare con me.
Anche il titolo, Violata, dà quella bella patina di romanzato che offusca la realtà e rende tutto più accettabile. Pensate come sarebbe diverso se chiamassimo le cose col loro nome, ma allora il nome della statua sarebbe Stuprata, non Violata. Troppo diretto, troppo vero. Troppo dolore.



P.S. Premetto che quest'ultimo commento non è una provocazione fine a se stessa, è solo un tentativo di far arrivare lo stesso messaggio in un altro modo: provate a pensare a come reagireste se in una delle piazze della vostra città mettessero la statua in bronzo di un uomo seminudo, coi vestiti brandelli ma con le spalle dritte e un'espressione fiera, e poi sotto ci scrivessero: Sodomizzato.

P.P.S Per chi vuole firmare la petizione online per chiedere la ricollocazione della statua.
Estrema Riluttanza

CONTRO VIOLATA SI SCATENA L'IRONIA DELLA RETE da Il Resto del Carlino



sabato 27 aprile 2013

Statua contestata, arriva pure la Barbie


Ancona, 27 aprile 2013 – CI MANCAVA solo la Barbie. Per il resto, Violata era stata immortalata in tutte le salse: come la Primavera del Botticelli, davanti ai carrarmati di piazza Tien An Men o come Statua della Libertà. Dobbiamo ammettere però che la versione Barbie è davvero un colpo di genio. Stavolta a colpire è, sempre attraverso facebook, l’artista Alessia Ercoli.
Sulla pagina "Non è un paese per Tanya" tante foto grottesche con le bambole protagoniste (c’è anche un "Lost" ambientato a Portonovo). Insomma tra incidenti e ammucchiate di plastica, spunta anche lei, Violata, confezionata come una Barbie vera, come souvenir di Ancona. E del resto questa dorica è una città di cui si parla poco, di solito: non ci sono grandi fatti di cronaca né scandali a smuovere la tranquilla routine degli anconetani, che peraltro di indole si stupiscono assai raramente di quello che gli capita sotto il naso. Poi arriva Ippoliti, fa una statua e viene giù il mondo. Si è smossa la Boldrini, Oliviero Toscani ha tuonato "fondete quello schifo", per non parlare del gruppo "Per la rimozione della statua violata" che per la sua petizione ha superato da un pezzo le mille e 500 firme.
A differenza di altre battaglie portate avanti a suon di post e commenti però, quella contro Violata è una guerra intelligente. Immaginarla Urlo di Munch o fotografare tutte le statue brutte, blu e nude in giro per il mondo come "parenti di Violata" è un modo per tenere alta l’attenzione su un’opera che ricorda più, come già stato scritto sulle nostre pagine, una bonazza con una bella sbronza da smaltire il giorno dopo che l’umiliazione e il terrore provocati da uno stupro. Se c’è un modo per combattere la violenza forse è proprio la leggerezza: del resto, una risata vi seppellirà.
Eleonora Grossi 

martedì 23 aprile 2013

COMUNICATO STAMPA in risposta alle dichiarazioni di ARMANDO GINESI


In relazione alle dichiarazioni rilasciate sulla stampa locale dal critico e storico dell'arte Armando Ginesi, sentiamo l'urgenza e la necessità di replicare a quello che ci sembra un totale stravolgimento delle intenzioni della nostra protesta. Lo abbiamo ribadito più volte ma è evidente che ci sono ancora fortissime resistenze, ideologiche o forse di pura convenienza, ad ascoltare le ragioni che hanno portato all'avvio della petizione. Il giudizio positivo di Ginesi sull'opera di Ippoliti rientra nelle prerogative del suo lavoro di critico e come tale lo rispettiamo anche perché lo stesso Ginesi ha più volte recensito Ippoliti in passato e quindi riteniamo conosca a fondo la sua opera. A questo però si deve attenere, senza estrapolare commenti espressi liberamente da alcuni cittadini sulla pagina del gruppo facebook in favore della ricollocazione della statua Violata, proponendoli come la posizione ufficiale di tutti i 1800 firmatari. Le motivazioni della nostra protesta, civile e rispettosa delle istituzioni, dell'opera e dello stesso artista, sono contenute nelle due lettere ufficiali che abbiamo inviato agli organi competenti, rimaste senza risposta da parte delle Istituzioni (se non il rifiuto a ricollocare la statua) e che sembrano venire ignorate di proposito dai nostri interlocutori nel tentativo di sottrarsi al dialogo e al confronto con i cittadini. Nelle due lettere ufficiali, come nei quesiti inviati ieri ai candidati sindaco, abbiamo chiesto la ricollocazione della statua in una sede museale, l'eliminazione dei riferimenti alla lotta contro la violenza di genere e la sua sostituzione con un'altra opera da selezionarsi attraverso un concorso di idee pubblico e trasparente, coinvolgendo anche la cittadinanza e le scuole. Rigettiamo quindi qualsiasi reiterato accostamento della nostra protesta a Hitler e ai nazisti che bruciavano libri e opere d'arte o alla propaganda stalinista, ricordando a chi ha usato questi infelici e assurdi paragoni che siamo un gruppo di liberi cittadini che porta avanti una protesta in modi del tutto legittimi e civili, mentre i nazisti, più volte evocati, erano al potere e lo esercitavano con violenza insieme alle censure che imponevano. Le parole hanno un peso e un significato e non pensiamo di dover essere noi a ricordarlo. Sottolineiamo per l'ultima volta che tra i firmatari e sostenitori della petizione ci sono, oltre a semplici cittadini, molte donne vittime di violenza che si sono sentite offese dagli esiti di questa operazione e moltissimi intellettuali, poeti, artisti e studiosi d'arte, giornalisti, esponenti del mondo della cultura e professionisti impegnati nella lotta agli stereotipi di genere di tutta Italia. Particolare, questo, che rende risibile qualsiasi allusione a un tentativo di censura da parte nostra. Il rispetto dell'artista e della sua libertà di esprimersi non è mai stato messo in discussione. Quello che contestiamo con forza e determinazione è che questa opera, finanziata in larga parte con fondi pubblici, sia stata imposta alla collettività come simbolo forzatamente condiviso di un tema tanto delicato, che tocca l'esistenza e la coscienza di moltissime persone: un tema che non deve essere affrontato riducendo la vittima a preda sessuale ma attraverso l'impegno contro le discriminazioni di genere e una cultura patriarcale che legittima il diritto al possesso e la riduzione della donna ad oggetto.

LE PROMOTRICI DELLA PETIZIONE
Cristina Babino
Alessandra Carnaroli

GINESI DIFENDE "VIOLATA". IPPOLITI MARTEDI' SU èTV A "BUONASERA MARCHE" CON... L'OPERA L'artista porterà in studio l'originale della Statua che tanto fa discutere


Dopo Sgarbi e Oliviero Toscani, anche il critico d'arte Armando Ginesi interviene su "Violata". Richiesto di un parere dalla Commissione Pari opportunita', difende l'opera di Floriano Ippoliti, eretta ad Ancona contro la violenza sulle donne. La statua, colocata all'ingresso della Galleria S. Martino, è al centro di numerose... polemiche per come l'artista ha interpretato il tema. ''Ippoliti - dice Ginesi - ha voluto esprimere lo stato di una donna che, dopo l'oltraggio, non piange su se stessa, e' una vittima che rifiuta di essere tale, che vuole riacquistare (e riacquista) dignita' e fierezza'' .
E proprio Floriano Ippoliti sarà protagonista Martedì sera su èTV di "Buonasera Marche", alle 20.45. Nel corso del programma spiegherà il senso del suo lavoro, grazie ad un ospite speciale: l'opera stessa. Negli studi dell'emittente sarà infatti istallata temporaneamente il prezioso originale in gesso che ha dato vita all'opera. 
Da non perdere. Solo su èTV

lunedì 22 aprile 2013

COMUNICATO STAMPA SULLA STATUA VIOLATA Se non ora quando



In merito alla discussa questione ' statua 'Violata' dell'artista Floriano Ippoliti come se non ora quando ancona- comitato 13 febbraio dichiariamo quanto segue: non è il valore artistico dell'opera in discussione quanto il messaggio che essa avrebbe il compito di veicolare. La Regione Marche e la Commissione Pari Opportunità hanno infatti affermato di averla acquistata (con fondi in prevalenza pubblici e in parte privati) per voler lasciare un segno tangibile del proprio impegno nella lotta alla violenza contro le donne e scegliendo quest'opera perché rappresentativa della violenza subita ma anche della volontà di rialzarsi e reagire. La statua non esprime però, secondo noi, il senso e le verità delle donne circa la violenza di genere; anzi, rischia di inquinare l'informazione che di essa da anni si cerca di dare, e che è così difficile fare entrare nella cultura del nostro paese, restituendo una immagine falsata dei luoghi e dei metodi della violenza, dello stato d'animo delle vittime e del loro futuro per lo più vissuto in uno stato di prostrazione (che a volte conduce al suicidio), di annientamento sociale e di totale umiliazione. Inoltre la maggior parte delle violenze non avviene in strada (come la statua con borsetta sembrerebbe indicare) ma tra le pareti domestiche e non sono violenze sessuali (come sempre la statua sembra volerci fare intendere) ma percosse, pure e semplici, ed infinite violenze psicologiche e molestie di ogni genere. L'identikit della vittima è inoltre quello di una donna dai 16 ai 70 anni che difficilmente vediamo rappresentata nella figura dalle forme procaci scolpita da Ippoliti e della quale sinceramente non capiamo le abbondantemente esposte nudità, che consideriamo gratuite ed oggettivamente offensive a prescindere dalla volontà dell'autore sicuramente in buona fede. Tale rappresentazione del corpo delle donne finisce ad essere perfettamente in linea con quegli stereotipi femminili contro i quali ci battiamo quotidianamente. Ciò detto dobbiamo rendere conto, come se non ora quando ancona-comitato 13 febbraio della presenza della nostra firma (inglobata con altri territori nella dicitura "comitati SNOQ delle Marche") sul basamento della statua. Siamo state convocate e coinvolte dalla Pari Opportunità regionale nella iniziativa che prevedeva la posa di un'opera sulla violenza di genere collegata ad un convegno al quale parimenti eravamo invitate a partecipare. L'opera ci è stata mostrata solo mediante una fotocopia PARZIALE del calco in gesso, parte anteriore. Siamo state superficiali: non abbiamo chiesto di vedere l'intera opera, da ogni suo lato, per valutare la nostra adesione. Non lo abbiamo fatto e questa è stata una grave mancanza. Ma non è vero - come invece è stato detto - che l'opera fosse stata fatta visionare a tutte le associazioni e che ci siano state 'numerose' riunioni preparatorie dell'evento. Le riunioni alle quali siamo state invitate sono state due e l'ordine del giorno era la preparazione del convegno. Il nostro comitato è da anni sul campo per quel che riguarda la battaglia contro la violenza di genere. Mettiamo in gioco non solo le nostre persone ma anche numerose ed approfondite competenze, anche professionali. Quello che ci auguriamo è che questa vicenda non chiuda il dialogo su questa che è una emergenza dolorosa e molto più che 'preoccupante' e che tutte le persone, le istituzioni, le personalità e organizzazioni politiche che sono intervenute nella vicenda e nella discussione siano per il futuro in piazza e in ogni luogo in cui si combatta questa battaglia numerose e appassionate come le abbiamo viste in questa circostanza. Ci auguriamo che la Regione raccolga l'invito (da molti sostenuto) di rimuovere l'opera per collocarla in sede più consona e disgiunta dal citato messaggio sociale; se questo non fosse possibile gradiremmo trovare una formula che consenta la rimozione della nostra firma dal basamento.
Giuliana Brega Rosini

Violenza donne: Genesi difende opera 'violata'


Ancona - Il critico d'arte Armando Ginesi, chiamato in causa dalla Commissione Pari opportunità per un parere, difende l'opera di Floriano Ippoliti 'Violatà, eretta ad Ancona contro la violenza sulle donne, al centro di numerose polemiche per come l'artista ha interpretato il tema. «Ippoliti - dice tra l'altro Ginesi - ha voluto esprimere lo stato di una donna che, dopo l'oltraggio, non piange su se stessa, piange dentro di sè ma non lo dà a vedere, è una vittima che rifiuta di essere tale, che vuole riacquistare (e riacquista) dignità e fierezza (lo dicono chiaramente, oltre alla positura del corpo eretto, la tensione della mano destra con le dita spalancate e finanche il recupero della borsetta che, da mero accessorio, diventa caratterizzazione della condizione femminile) che torna a calarsi nella vita reale, ferita ma non doma e non sconfitta. È così difficile capirlo?» «L'artista - aggiunge Ginesi - ha diritto a lavorare con piena libertà d'espressione. Altrimenti, c'è Hitler che ordine ai suoi scherani di bruciare i libri in piazza o di sfasciare dipinti e sculture di un'arte che lui chiamava 'degeneratà e che ha rappresentato invece la vetta più alta di tutto il XX secolo». 

Matarazzo (La Tua Ancona): “Non vorrei essere nei panni di Floriano Ippoliti”


ANCONA – Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa di Giovanni Matarazzo, candidato alla Comunali di Ancona nella lista ‘La tua Ancona’:
Contestato per un’opera nella sfera estetica, nessuno storico o critico ha detto una parola in favore della sua arte. Contestato nella sfera etica, nessuno che abbia riportato la questione sui binari della pietà umana. Si sta massacrando un uomo che, a mio avviso, ha sbagliato. Si sta massacrando un uomo che ha puntato tutta la sua vita nell’arte. Quindi, non vorrei essere nei panni di Floriano, perché si stanno mettendo in discussione le cose più care che ha: la sua vita e la sua tensione alla creatività. Tutto, quindi. Questa vicenda, invece, può essere l’occasione per iniziare un nuovo percorso. Alle donne, ma anche agli uomini dico: a un metodo non democratico di far parlare qualcuno (pochi) a nostre nome, bisogna contrapporre un metodo che salvi l’uomo e lo recuperi. In un modo non democratico è stato deciso che una statua potesse rappresentare il dramma delle donne che hanno subìto violenza. Con denaro pubblico, quindi di tutti noi, si è pensato che tutti noi la scultura potesse rappresentare. Allo stato dei fatti, così non è. Ma se si voleva che la scultura rappresentasse le donne, di vero c’è che a questo a punto la scultura è, appartiene a tutte le donne, che possono farne ciò che vogliono. Allora propongo che le donne che non si riconoscono in questa scultura decidano che farne. Che si riuniscano nell’agorà in assemblea, e con la democraticità che la nostra cultura ha conquistato a fatica nei secoli, ne decidano la sorte. Ma che invitino anche Floriano Ippoliti ad ascoltare le loro ragioni, senza insultarlo, senza annientarlo.
E se decideranno che la scultura deve essere fatta a pezzi, invitino Floriano a dare il primo colpo di martello; se decideranno che deve essere fusa, diano a Floriano il fiammifero per accendere la fornace; se decideranno che deve essere fatta scomparire in mare, che sia Floriano a girare il verricello per farla calare negli abissi. E se decideranno che deve essere portata altrove, che Floriano segua la sua creatura nella mesta cerimonia.
Ma coinvolgete Floriano, fategli capire le vostre ragioni e il dramma che ogni donna rischia ogni giorno e che vi impedisce di apprezzare la sua opera. Recuperatelo alle vostre ragioni, e spiegategli che cosa, invece che l’attuale donna scolpita, vorreste vedere alla porta della città perché sia monito ad ognuno di noi. Credo che Floriano sia abbastanza intelligente e sensibile da ascoltarvi. Diversamente, da una violenza subìta si rischia di ripagare con la stessa violenza: l’annullamento di un uomo nella sua essenza più profonda e in quello per cui ha speso tutta la sua vita.”
Giovanni Matarazzo

da Cronache Anconetane 

domenica 21 aprile 2013

D'Angelo annuncia di voler eliminare "Violata"


Ippoliti a Toscani "vieni a vedere le mie opere"


Oliviero Toscani contro la statua Violata «Non rappresenta una donna stuprata»


Il celebre fotografo: «Opera orrenda, deve essere rimossa». Contro il bronzo movimento d'opinione contrario




ANCONA - Anche Oliviero Toscani contro «Violata», la statua che simboleggia l'impegno contro la violenza sessuale esposta ad Ancona. «Un'opera orrenda, va rimossa» Il celebre fotografo-polemista si scaglia contro il bronzo dello scultore anconetano Floriano Ippoliti che rappresenta una donna con le vesti stracciate che si rialza, fiera, dopo aver subito uno stupro. Opera contestata per le nudità, per l'atteggiamento poco realistico della vittima della violenza e l'insolito verde-blu con cui è verniciato il corpo della donna.

«In questa statua - dice Toscani - è tutto sbagliato, a livello estetico e di concetto, due aspetti comunque inseparabili. Una vera deviazione culturale». E ancora: «Non si parli di artista per l'autore della scultura. Come si fa a rappresentare una donna vittima della violenza con la borsa in mano e le vesti stracciate? Così quella statua poteva essere fatta da un poliziotto, non da uno scultore». La proposta di Toscani? «Toglierla di lì, o meglio fonderla».



Violenza donne: Genesi difende opera Violata

Ancona - Il critico d'arte Armando Ginesi, chiamato in causa dalla Commissione Pari opportunità per un parere, difende l'opera di Floriano Ippoliti 'Violatà, eretta ad Ancona contro la violenza sulle donne, al centro di numerose polemiche per come l'artista ha interpretato il tema. «Ippoliti - dice tra l'altro Ginesi - ha voluto esprimere lo stato di una donna che, dopo l'oltraggio, non piange su se stessa, piange dentro di sè ma non lo dà a vedere, è una vittima che rifiuta di essere tale, che vuole riacquistare (e riacquista) dignità e fierezza (lo dicono chiaramente, oltre alla positura del corpo eretto, la tensione della mano destra con le dita spalancate e finanche il recupero della borsetta che, da mero accessorio, diventa caratterizzazione della condizione femminile) che torna a calarsi nella vita reale, ferita ma non doma e non sconfitta. È così difficile capirlo?» «L'artista - aggiunge Ginesi - ha diritto a lavorare con piena libertà d'espressione. Altrimenti, c'è Hitler che ordine ai suoi scherani di bruciare i libri in piazza o di sfasciare dipinti e sculture di un'arte che lui chiamava 'degeneratà e che ha rappresentato invece la vetta più alta di tutto il XX secolo». 

sabato 13 aprile 2013

In Italia le donne devono difendersi anche dalle statue - Il Megafono


In Italia le donne devono difendersi anche dalle statue


Ci mancava anche questa. Dopo la testimonianza eclatante dei dati che segnalano una crescita del numero delle violenze sulle donne tra le mura domestiche, l’ennesima umiliazione per le vittime arriva dal mondo dell’arte e della cultura. Da qualche giorno, infatti, ad Ancona, è stata posizionata l’opera intitolata “Violata”, dell’artista Floriano Ippoliti, commissionatagli dal Comitato per le pari opportunità della Regione Marche, che oltretutto ha speso ben 17.000 euro per l’occasione. L’opera ha immediatamente suscitato le proteste da parte delle donne, che hanno manifestato la loro indignazione con un sit-in e con la raccolta di 670 firme per la sua rimozione. Ma perché la scultura non è stata accolta con favore? Perché le donne, protagoniste di questi barbari episodi non si sono sentite rappresentate in alcun modo dall’oggetto, che al contrario è stato percepito come un’offesa.
La scultura rappresenta una donna con i vestiti stracciati, in una mano una borsetta da passeggio e l’altra vuota e spalancata; dai vestiti stracciati emergono le natiche e due seni ben torniti. Le proteste sono andate tutte nella stessa direzione: la borsetta fa pensare che la maggior parte degli stupri si consumi in strada, ma i dati parlano chiaro ormai da anni che una grande percentuale di violenze si svolge entro le mura domestiche. E poi quell’aria di sicurezza emanata dal volto e dalla postura della statua che non coincidono assolutamente con l’animo di una donna che ha appena perso la propria dignità, umiliata e violata, nella maggior parte dei casi proprio da chi le stava accanto. Infine, ci sono le parti intime scoperte che rendono la statua un simbolo evidente dello stereotipo maschilista della donna bella e formosa.
Nonostante le proteste, il Comitato per le pari opportunità delle Marche non è intenzionato a voler rimuovere la statua. In una nota della commissione regionale per le pari opportunità si afferma: “Non c’è alcuna intenzione di rimuovere la statua, perché ciò significherebbe non voler abbattere il muro di omertà e ipocrisia che ha sempre circondato la violenza di genere”. E continua: “Ogni forma di violenza, infatti, è conseguenza della mancanza di questa cultura che va trasmessa coinvolgendo direttamente anche chi si sente estraneo a questo problema per costringerlo a riflettere. Questo è l’obiettivo che ci si era prefissati di raggiungere, senza mai rinnegare il confronto su tutte quelle azioni che possono migliorare e incentivare la cultura del rispetto nella nostra società”.
Si dice che il compito dell’arte sia quello di provocare emozioni forti. Sembra che in questo caso la statua ci sia riuscita benissimo, ma il destinatario è quello sbagliato. A sentirsi offese sono infatti le donne, quelle che hanno direttamente subito violenza e tutte le altre. Si parla di omertà, quando le donne chiedono di rimuovere la statua. Penso invece che ci sia una sostanziale incomprensione di fondo. Con la richiesta di togliere la statua si cerca semplicemente di rimediare ad un errore.
Oltre alla beffa, il danno: secondo i dati ISTAT, in Italia, nel 2013, la percentuali di stupri, violenze domestiche e uxoricidi è salita in modo considerevole; in particolare, la violenza fisica è aumentata dal 18% al 22%. Sempre i dati confermano che le violenze sono compiute nella maggior parte dei casi da fidanzati o mariti e che il carnefice è quello che si può definire come “uomo medio”, normale, che non assume sostanze stupefacenti e privo di dipendenze da alcol.
Colpevole è anche lo Stato: molti centri antiviolenza, nei maggiori capoluoghi regionali, sono lasciati a marcire per mancanza di fondi per tenerli aperti. Per il centro antiviolenza di L’Aquila, in occasione del terremoto del 2009 (durante il quale crollò), sono stati stanziati ben tre milioni di euro che non sono mai stati spesi. I tre milioni sono ancora nelle mani del governo; a tutt’oggi pare che non siano stati presi provvedimenti per ricostruire il centro, le donne che avrebbero dovuto esservi accolte sono obbligate a stare nei container e le professionalità che vi operano sono gratuite. Quello di Messina non ha potuto nemmeno partecipare al bando dei 10 milioni di euro del piano antiviolenza stanziati, per i centri nuovi e per i già esistenti, dall’allora ministro Carfagna.
I centri antiviolenza sono delle strutture destinate ad ospitare le donne che vogliono fuggire dalla casa in cui abitano con il proprio partner e che non possono, per motivi finanziari, vivere in modo autonomo. Qui le donne possono portare anche i propri figli, che assistono nella maggior parte dei casi agli eventi di violenza. Il fenomeno si chiama “violenza assistita” e si verifica nell’82% dei casi delle donne che chiamano il Telefono Rosa. Se questi bambini non vengono subito affidati a delle cure psichiatriche, rischiano gravi conseguenze per il proprio equilibrio psichico e per il loro adattamento sociale.
Tra statue –stereotipo, cultura maschilista e inadeguatezza dell’intervento statale, le donne in Italia sono ancora in pericolo. In grave pericolo. 
Valentina Montemaggi –ilmegafono.org
http://www.ilmegafono.org/?p=12019

"Violata" ancora senza pace - Adesso spuntano i post-it


venerdì 12 aprile 2013

NON IN MIO NOME un post-it per non dimenticare...





"VIOLATA", PROSEGUONO LE INIZIATIVE DI PROTESTA di Cristina Babino



Giovedì 11 aprile 2013 alle ore 21.48

Ancona, 11 Aprile 2013

Una serie di post-it colorati con su scritto Non in mio nome, frase con la quale intendiamo ribadire un sentimento comune e condiviso: donne e uomini che non si sentono rappresentati né come vittime né come cittadini consapevolie impegnati contro la violenza di genere. 

Ricoprendo la targa con questi innocui, e facilmente rimovibili, post-it - evitando quindi di toccare in alcun modo la scultura in sé, nei confronti della quale, in quanto opera d'arte, continuiamo ad esprimere il nostrorispetto -vogliamo simbolicamente riappropriarci di una battaglia che non può essere combattuta attraverso messaggi svilenti e svianti che sembrano perseguire l'unico fine di dare risalto a chi ha promosso l’iniziativa e che nella realtà continuano a offendere le donne, in particolare quelle che nella loro vita hanno subito violenza e a cui l’opera sarebbe dedicata.

Ribadiamo la convinzione che commemorare le vittime servendosi dell'immagine stereotipata della donna come facile preda esclusivamente sessuale non serva a una riflessione profonda e costruttiva sulla violenza che, in quanto abuso dipotere e tentativo di possesso, non è solo fisica ma ha radici e sviluppi culturali, economici, religiosi e sociali.

La nostra è una forma di protesta e resistenza civile che proseguirà, in varie forme e manifestazioni, fino a quando le Istituzioni locali non avvieranno un processo di discussione e confronto sulle numerose istanze e obiezioni avanzate nelle due lettere che abbiamo inviato agli organi competenti sull’argomento e che, lo ricordiamo, non hanno ad oggi ricevuto la benché minima risposta, se non il secco rifiuto, aprioristico e del tutto autoreferenziale, a rimuovere la statua. Atteggiamento ,questo, da parte delle istituzioni coinvolte, che riteniamo ingiustificabile e inaccettabile in un Paese che voglia dirsi civile.

La nostra petizione prosegue intanto a ritmi sostenuti, arrivando ad oggi acirca 1700 firme di liberi cittadini da Ancona, dalle Marche e da tutta Italia,e ha trovato il sostegno di personalità autorevolissime come quella dell’europarlamentare On. Silvia Costa, da sempre impegnata nella lotta per l’uguaglianza tra i generi  e i diritti civili, che in un messaggio alle promotrici ha espresso condivisione per le ragioni della petizionee ribadito l’importanza dell’impegno diretto dei cittadini in questa battaglia di cultura e civiltà.

LE PROMOTRICI DELLA PETIZIONE
Cristina Babino
Alessandra Carnaroli

Allegato: MESSAGGIO INVIATO DALL’ON.SILVIA COSTA, fotografie di Francesco Paci

MESSAGGIO INVIATO DALL’ON.SILVIA COSTA A SOSTEGNO DELLA PETIZIONE

inviato peremail il giorno 09/04/13

Gentile Cristina,

Condivido le sue valutazioni critiche sulla statua che rischia di dare un messaggio ambiguo e morboso su un tema che merita delicatezza e sensibilità nella sua rappresentazione.
Era uno di quei casi in cui il riferimento simbolico o metaforico in chiave artistica avrebbe dovuto avere un significato e una efficacia forte ma più coerente con la controversa materia.

Condivido quindi il senso della vostra petizione anche se non so quale esito potrà avere il mio pronunciamento. Ritengo infatti prioritaria la pressione delle cittadine e dei cittadini più direttamente coinvolti localmente.
Aderirò tramite il vostro sito.

Con molti auguri, Silvia Costa
Foto di Francesco Paci 

La politica non giudichi


VIOLARE, VIOLARE, VIOLARE di Paolo Marasca


Si fa un gran parlare di questa Violata, ancora. Intendo la statua dello scultoreFloriano Ippoliti posta all’ingresso della Galleria San Martino di Ancona e intenzionata a rappresentare la fierezza delle donne vittime di violenza. O, meglio, re-intenzionata, dato che prima di questo nuovo impiego pare si intitolasse Donna con borsetta (non è dettaglio da poco, questo, anzi…). Il parlare è un po’ confuso e a me dolgono alcune cose: che tutti si parli d’arte così, come di noccioline; che la protesta contro questa opera sia intesa comecensura fisica, delle nudità della statua. Quindi torno sull’argomento, dopo aver scritto qui altre cose.
 1)      la polemica, dicono, ricorda i mutandoni di Michelangelo.
Nel caso del Buonarroti, la Congregazione del Concilio di Trento ordinò a Daniele da Volterra di coprire le nudità del Giudizio Universale che andavano in direzione opposta alla linea politica del Concilio stesso, sommo regolatore della cultura tutta di quell’epoca che si pronunciò, anche se con una certa vaghezza, sul nudo nelle opere d’arte (Omnis denique lascivia vitetur ita ut procaci venustate imagines non pingantur nee ornentur). L’intervento non aveva nulla a che vedere con voci del popolo, critiche esterne o altro, ma era un aggiustamento legato ai precetti resi noti da Gilio da Fabriano (ci voleva almeno un perizoma, diceva Gilio, per le nudità dei Testi Sacri) e quelli che si scagliarono contro il Giudizio furono ecclesiastici, o persone che avevano un tornaconto nel farlo, come ampiamente dimostrato dalla storia dell’arte e dalla storia della chiesa.
Detto questo, le voci levatesi contro la scultura di Ippoliti – al di là di qualsivoglia giudizio – non se la prendono con la nudità, ma con la mancanza di riguardo nei confronti di quelle che dovrebbero essere le destinatarie dell’opera: le donne vittime di violenza. Non si mette, cioè, in discussione, la presenza di seni e natiche – per carità, allora dovrebbe chiudere il British, perlomeno – ma la non riuscita dedica – e come potrebbe essere altrimenti, dato che la statua si chiamava Donna con borsetta fino a qualche tempo prima? (insistiamo su questo, che è argomento decisivo). Insomma, con i Mutandoni di Daniele da Volterra, peraltro allievo appassionato di Michelangelo, non c’entra proprio nulla questa querelle.
2)      la polemica tira in ballo l’atteggiamento della Chiesa – definito “di manica larga” laddove invece le iconografie della maggior parte dei dipinti che amiamo furono studiate rigorosamente a tavolino dai rappresentanti della Curia e non si concepiva nemmeno un artista autonomo – e cita un’altra opera: La madonna dei pellegrini di Caravaggio. E’, questo, uno dei dipinti che amo di più e qualche settimana fa sono stato a ri-vederlo assieme a Monica e altri amici. Ci vado sempre, lì e a San Luigi dei Francesi. Tirandolo in ballo, si commettono alcuni errori: la Madonna non fu mai tolta dall’altare, semplicemente i committenti – non la curia, ma gli agostiniani, rappresentanti di quella chiesa in cui abitò Egidio da Viterbo, ovvero colui che discusse conRaffaello tutta l’iconografia delle Stanze Vaticane – rimasero perplessi e indecisi sul pagamento al pittore. Cosa che spesso accade anche ai committenti odierni. L’equivoco deriva da un passo del Baglione, pittore zuccariano, rivale affascinato del Caravaggio e autore delle biografie secentesche, il quale scrisse che, di fronte all’opera, “dai popolani fu fatto estremo schiamazzo”. E però nel 1992 il Bologna chiarisce questo passo, sottolineando come il termine “schiamazzo” nel Baglione non abbia accezione negativa, ma di stupore, e addirittura, in un altro caso, positiva: “plauso, esaltazione”. I piedi gonfi e nudi del pellegrino, come ben chiaro a tutti all’inizio del Seicento, sono simbolo diobbedienza e fedeltà e di lì a poco lo chiarirà anche Federico Borromeo, nel suo De pictura sacra. Lo stupore sarà magari per il realismo, per la sorpresa della pittura caravaggesca, che non è mai stata così eretica o anti-istituzionale come piace pensare a noi moderni. Certo, qualcuno se la sarà presa: si era, non dimentichiamolo, nel pieno della Guerra Fredda fra cattolici e protestanti, quando, alla faccia della “manica larga”, dominavano la scena l’Index Librorum (cancellato nel 1966!) e tutti, ma proprio tutti i pittori, dovevano pensarci due volte prima di mettere mano a una pala d’altare. Il Concilio di Trento fu uno dei massimi esempi di regolamentazione dell’arte e soprattutto di utilizzo dell’arte a fini di propaganda politica anti-protestante. E se venne processato solo un pittore (il sommo Paolo Caliari, che si difese dicendo che i pittori si prendono le licenze dei pazzi ma fu condannato e ritoccò l’opera in questione senza più aprir becco) è perché gli artisti si adeguarono ai dettami, cosa tutt’altro che scandalosa ai tempi.
3)      Non credo si debba molto parlare d’arte: se il problema fosse la censura di seni e sedere, che fare delle vacche tagliate in due di Damien Hirst o delle sfilate sanguinolente di Franko B, ma anche delle fotografie di Man Ray e di tutta l’altra ciccia artistica che ci circonda? Eppure, il problema c’è: nell’epoca, comeho già avuto modo di dire, senza padri che viviamo, dove latita l’autorevolezzae ci si affida spesso – erroneamente – in vece sua all’autorità, la politica deve fare professione di umiltà. E non pare umile imporre un’opera senza un bando o un progetto di idee, specie se su un tema così importante, o, in alternativa, una storia dell’artista che deve avere proporzioni indiscutibili, internazionali, direi quasi colossali. Non me ne voglia Ippoliti, che ha tutta la mia stima. Capita.
4)      Quando si citano ad esempi di censura Hitler, Stalin o i soliti mutandoni del Volterra – povero Volterra, sfottuto già da vivo e poi messo in mezzo a questa faccenda – si dimentica che proprio Hitler, Stalin e la Controriforma fecero quello che a quanto pare si fa ancora oggi: decisero politicamente cosa era arte, e la imposero. Chi somiglia a loro, dunque? Chi se la prende per un’opera che ritiene non riuscita non artisticamente, ma civilmente, o chi la compra e la colloca in un tessuto urbano senza affidarsi a giudizi di esperti del settore, o a concorsi? Poiché la scultura in questione viene dalle istituzioni, la domanda pare lecita.
5)      Le persone che hanno coperto la statua hanno commesso un errore di comunicazione però, va detto con il senno di poi: sebbene nel blog di Luna Margherita Cardilli sia spiegato il senso del gesto, questo è stato letto come un coprire le nudità, e non come un proteggere la persona. E’ stato, cioè, inteso nella sua valenza meramente iconografica, senza arrivare a una lettura più profonda. Ma è evidente, credo, che il problema non stia in un capezzolo. La protesta – che per i miei gusti talvolta assume toni eccessivi, troppo duri, troppo virati allo scontro quando un avvenimento così potrebbe essere uno spunto di dialogo – non può essere paragonata a un atto censorio. Si è toccata una sensibilità civile, e con questo bisogna fare i conti, come giustamente qualcuno ha detto.
Insomma, a questo punto della storia, si può anche ammettere che si sia commesso un errore di impostazione. Umiltà è anche questo. E in tutta sincerità, se io fossi l’autore, la prenderei e me la porterei via nottetempo, la Violata, perché anche l’opera – non solo quel che raffigura – merita d’essere protetta, e un padre lei ce l’ha.
Concludo con una piccola nota: si tratta di una sola opera in un contesto urbano e culturale pieno di problemi, è vero. E forse se ne fa anche troppo parlare. Sarebbe bello però che si creasse un dialogo, e non venga vissuta questa cosa come scontro tra fazioni opposte: si può partire da un angolo qualsiasi della casa, per riorganizzarla tutti assieme.
Paolo Marasca

IL PUNTO DELLA SITUAZIONE di Loredana Lipperini


Due notizie, per così dire, di servizio.

La prima riguarda ancora una volta Violata, la statua “contro la violenza sulle donne” di Ancona. Alle migliaia di firmatari della petizione che la definisce inopportuna, la commissione Pari Opportunità della Regione Marche ha risposto picche: non se ne parla proprio, la statua rimane dov’è, abbiamo fatto bene, le nostre scelte non si discutono.
Le reazioni sono di due tipi: la raccolta firme, che continua, e una protesta sul web e dal vivo. In rete è nato un blog, Figli d’Arte Violata, che raccoglie contribuiti scritti e grafici. Fateci un giro.
Per quanto riguarda le azioni dirette, lascio la parola a Cristina Babino e Alessandra Carnaroli, promotrici della petizione:

“Una serie di post-it colorati con su scritto Non in mio nome, frase con la quale intendiamo ribadire un sentimento comune e condiviso: donne e uomini che non si sentono rappresentati né come vittime né come cittadini consapevoli e impegnati contro la violenza di genere. Ricoprendo la targa con questi innocui, e facilmente rimovibili, post-it - evitando quindi di toccare in alcun modo la scultura in sé, nei confronti della quale, in quanto opera d’arte, continuiamo ad esprimere il nostro rispetto -vogliamo simbolicamente riappropriarci di una battaglia che non può essere combattuta attraverso messaggi svilenti e svianti che sembrano perseguire l’unico fine di dare risalto a chi ha promosso l’iniziativa e che nella realtà continuano a offendere le donne, in particolare quelle che nella loro vita hanno subito violenza e a cui l’opera sarebbe dedicata.

Ribadiamo la convinzione che commemorare le vittime servendosi dell’immagine stereotipata della donna come facile preda esclusivamente sessuale non serva a una riflessione profonda e costruttiva sulla violenza che, in quanto abuso di potere e tentativo di possesso, non è solo fisica ma ha radici e sviluppi culturali, economici, religiosi e sociali.
La nostra è una forma di protesta e resistenza civile che proseguirà, in varie forme e manifestazioni, fino a quando le Istituzioni locali non avvieranno un processo di discussione e confronto sulle numerose istanze e obiezioni avanzate nelle due lettere che abbiamo inviato agli organi competenti sull’argomento e che, lo ricordiamo, non hanno ad oggi ricevuto la benché minima risposta, se non il secco rifiuto, aprioristico e del tutto autoreferenziale, a rimuovere la statua. Atteggiamento, questo, da parte delle istituzioni coinvolte, che riteniamo ingiustificabile e inaccettabile in un Paese che voglia dirsi civile.
La nostra petizione prosegue intanto a ritmi sostenuti, arrivando ad oggi acirca 1700 firme di liberi cittadini da Ancona, dalle Marche e da tutta Italia,e ha trovato il sostegno di personalità autorevolissime come quella dell’europarlamentare On. Silvia Costa, da sempre impegnata nella lotta per l’uguaglianza tra i generi e i diritti civili, che in un messaggio alle promotrici ha espresso condivisione per le ragioni della petizione e ribadito l’importanza dell’impegno diretto dei cittadini in questa battaglia di cultura e civiltà”.

Il messaggio di Silvia Costa è questo:
“Gentile Cristina,
Condivido le sue valutazioni critiche sulla statua che rischia di dare un messaggio ambiguo e morboso su un tema che merita delicatezza e sensibilità nella sua rappresentazione.

Era uno di quei casi in cui il riferimento simbolico o metaforico in chiave artistica avrebbe dovuto avere un significato e una efficacia forte ma più coerente con la controversa materia.

Condivido quindi il senso della vostra petizione anche se non so quale esito potrà avere il mio pronunciamento. Ritengo infatti prioritaria la pressione delle cittadine e dei cittadini più direttamente coinvolti localmente.

Aderirò tramite il vostro sito.

Con molti auguri, Silvia Costa”
La seconda notizia riguarda una lettera aperta ai sindacati da parte di Di.Re. Argomento, lo so già, che verrà giudicato scomodo da molti. Invece, vale la pena di leggere.
“D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza - ritiene grave ed inopportuna la scelta di invitare al concerto del Primo Maggio  Fabri Fibra, il rapper italiano che divulga nei testi delle sue canzoni messaggi sessisti, misogini, omofobi, e canta l’apologia della violenza contro le donne.
In Su le mani alcuni passaggi esaltano la violenza con riferimenti a una dolorosissima vicenda che scosse l’Italia negli anni ‘80 e che contò 16 vittime.
In Venerdi’ 17 canta lo stupro e l’assassinio di una bambina di 12 anni ed esalta azioni violente contro le donne.
Nel 2012 sono state oltre cento i femicidi. Le donne che si sono rivolte ai centri sono state 14mila: un dato che rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno in gran parte sommerso e alimentato da una cultura attraversata da stereotipi sessisti, modelli di mascolinità prevaricanti e violenti, discriminazioni contro le donne. La questione dell’inefficacia delle politiche di contrasto alla violenza contro le donne, anche in relazione alla mancanza di prevenzione tra i giovani e le giovani è stata stigmatizzata nel 2012 da Rashida Manjoo, special rapporteur dell’Onu, che ha richiamato l’Italia ad una corretta applicazione della Cedaw. Il linguaggio dei media e della rappresentazione del corpo delle donne nella pubblicità è un problema che ancora è lontano dall’essere risolto.
Ci domandiamo allora, qual è  la motivazione di questa scelta dei sindacati? E’ opportuno che si divulghino dei messaggi violenti in occasione del Concerto del Primo Maggio, a cui assisteranno molti giovani e molte giovani, e che,  ancora una volta, si faccia spettacolo con la violenza contro le donne?
L’associazione D.i.Re chiede ai sindacati di fare una scelta responsabile e di revocare l’invito al rapper italiano nel rispetto delle donne e di tutte le vittime di violenza omofoba e di femminicidio”.
Quanto meno, rifletteteci. Solo questo.

Loredana Lipperini



mercoledì 10 aprile 2013

Monumenti contro la violenza di Mauro Corso




In un precedente articolo avevo parlato di “Violata” la statua eretta ad Ancona come simbolo contro la violenza sulle donne. Avevo spiegato il mio disagio di fronte a questa raffigurazione sbagliata per più di un verso. Questo monumento peraltro è stato soggetto a molte critiche non dissimili a quelle da me riportate. La commissione delle pari opportunità della Regione Marche, per quanto di mia conoscenza, a oggi non ha fatto un passo indietro su questo monumento. Un commento di Stonehand su facebook mi ha fatto riflettere. Esiste un modo “giusto” per costruire un monumento in memoria delle vittime della violenza sessuale?
Questo articolo è frutto di una breve ricerca che non mi ha portato via davvero molto tempo. Mi chiedo se la Commissione della Regione Marche abbia fatto una ricerca di questo tipo e se in base a questa ricerca sia in grado di giustificare in modo persuasivo la scelta fatta. Mi chiedo se abbia verificato l’esistenza nel mondo di raffigurazioni simili a quella scelta per Ancona e se abbia valutato l’impatto sull’opinione pubblica di una scelta così controversa. Questa ricerca è tutt’altro che estesa, sicuramente non sono stato in grado di trovare molti memoriali che affrontano questo tema.
Per quanto mi riguarda, non sono stato in grado di trovare raffigurazioni simili, raffigurazioni che cioè ritraggano la vittima con orgoglio e quasi con un atteggiamento di sfida. Per non parlare dell’aspetto erotico (non stiamo a girare troppo intorno: la statua di Ancona ha una forte componente erotica, ed è questo l’aspetto più distrubante dell’operazione).

Il primo monumento ricorda la violenza sessuale perpetrata in Bosnia in tempi molto recenti. E’ una semplice lapide scura, a forma di cuore, che riporta i nomi delle vittime e un’iscrizione che rievoca i fatti e invita alla riflessione. Come è evidente, non c’è alcuna rappresentazione di figure umane più o meno vestite. In questo caso il riferimento è a un fatto storico ben preciso.




Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un fatto storico ben preciso: il rapimento di donne coreane da parte delle forze militari giapponesi durante la seconda guerra mondiale poi reclutate come “comfort women” e cioè per la prostituzione forzata. La questione è un nervo scoperto per le autorità giapponesi che negano quanto è accaduto e in alcuni casi riportano che tutte le “comfort women” fossero in realtà volontarie. Alla fine della guerra, tutti i documenti riguardanti le donne coreane vittime di violenza sono state distrutte dalle forze giapponesi in ritirata per paura di ritorsioni e di processi per crimini di guerra. Tranne qualche documento che indica chiaramente cosa è successo. Questo monumento è a Palisades Park, New Jersey. Di quelli da me indicati in questo articolo è l’unico che riporta una figura umana. La vittima della violenza è in un angolo, rannicchiata e sofferente. Davanti a lei, in posizione minacciosa, un soldato giapponese. Il significato di quello che è accaduto è inequivocabile. La targa è corredata da un testo esplicativo. Le autorità giapponesi hanno cercato di fare pressione sul sindaco di Palisades Park per far rimuovere la targa, senza successo (fonte).

Questo monumento è a Phoenix, Arizona. il testo recita all’incirca: “ogni anno in media 19.000 componenti attivi delle forze armate degli Stati Uniti sono vittime di aggressioni a sfondo sessuale da parte di commilitoni. A questo trauma contribuisce la cortina di silenzio istituzionalizzata da parte dei militari che rifiutano di riconoscere queste aggressioni. Innumerevoli uomini e donne in servizio cadono in queste falle e vengono lasciati a loro stessi, senza ricevere alcuna forma di supporto dallo stato che si sono impegnati a servire. Onoriamo questi veterani silenziosi e continueremo a batterci perché le loro storie siano note”. La targa è stata collocata dal Military rape crisis center, un centro che si occupa della violenza sessuale in ambito militare. In questo caso il memoriale è molto sobrio, un semplice testo protetto da una lastra di vetro con l’indicazione del sito internet di riferimento. Anche in questo caso non ci sono figure umane a corredo del memoria: sembra prevalere la dimensione della riflessione.
Purtroppo non ho una fotografia per un altro memoriale a Sidney, in Australia, dedicato a una vittima di violenza sessuale di nome Mary. Mary nel 1996 è stata brutalmente picchiata e violentata in una strada di Sidney. Poiché Mary era lesbica è possibile che l’assalto sia stato a sfondo omofobo. La comunità del quartiere, indignata da questo evento ha creato un memoriale, originariamente era un murale, ma dopo la ricostruzione di un albergo (il Beresford Hotel) è stata realizzata una targa sul pavimento che rappresenta una lampada, con un iscrizione. La lampada ha lo scopo simbolico di tenere sempre accesa la memoria su quanto accaduto (qui la fonte di questa informazione).

Un altro approccio efficace e alternativo al memoriale è l’installazione temporanea. Per esempio questa installazione è stata collocata sullo specchio d’acqua che collega il memoriale a Lincoln al monumento a Washongton, a Washington DC, per sensibilizzare sul tema della violenza sessuale (non solo sulle donne, ma anche sugli uomini: la percentuale è inferiore, ma lo stigma sociale e il senso di vergogna sono comunque molto alti). La scritta è il verso di un poema di un sopravvissuto e recita “Non riesco a dimenticare quello che è accaduto, ma non lo ricorda nessun altro.
Questa installazione in realtà è un richiamo sulla necessità di creare un memoriale nazionale dedicato alle vittime della violenza sessuale, i cui parametri sono indicati in questo sito. E’ evidente che ancora non è chiara la forma di questo memoriale, ma questo è un aspetto finale. Quello che sembra emergere è che nel processo di creazione e design saranno coinvolti tutti i soggetti interessati (senza esclusioni). La Commissione della Regione Marche sostiene che le parti che ora protestano a monumento compiuto erano state partecipi del processo decisionale che ha portato alla statua “Violata”. A questo punto mi sento di domandare: Le parti che ora protestano, avevano visto disegni o bozzetti preparatori? Hanno avuto modo di obiettare? Quanto sono state coinvolte le parti nel processo che ha portato alla identificazione del tema, dello scultore e della realizzazione materiale? Quale tipo di ricerca è stata fatta per arrivare a questa soluzione? Sono state interpellate Associazioni e centri antiviolenza locali? Sono state coinvolte vittime di violenza o è stata comunque richiesta la loro opinione? Tutte belle domande che mi piacerebbe avessero una risposta.
 (martedì, 9 aprile 2013)
Di Mauro Corso